Note di sala del concerto di giovedì 19 gennaio 2012 Stampa
Lunedì 16 Gennaio 2012 00:00

 

Disponibili in anteprima le note di sala del concerto.

NOTE DI SALA

La Sonata in La maggiore Op. 162, nota anche come "Duo" - titolo che compare nella prima edi¬zione, postuma, del 1851 - composta nell'agosto del 1817 ad appena ventuno anni e preceduta in campo cameristico da ben cinque sonate per pianoforte nate nello stesso anno, si distingue per la solidità dell'articolazione e per la vastità delle proporzioni. La pratica della forma e i modelli del passato, non ultimi quelli beethoveniani coevi, determinano alcuni esiti prevedibili: ad esempio il porre lo Scherzo come secondo movimento secondo la prassi beethoveniana.

La forma è qui rispettata in tutti i suoi aspetti: l'Allegro moderato iniziale in forma-sonata si sviluppa su due temi esposti dal violino, mentre la sezione di sviluppo si fonda sulla figurazione puntata del basso pianistico d'apertura. La scrittura, come del resto in tutta la composizione, è di impostazione liederistica, dove lo strumento ad arco viene trattato alla stregua della voce umana e la tastiera sostiene e commenta con discrezione, curando l'ornamentazione secondo le consuetudini dell'accompagnamento alla voce. Gli equilibri e l'andatura sono molto più fusi nel vigoroso Scherzo: gli strumenti proce¬dono quasi in simbiosi secondo una ritmica serrata e quanto mai marcata, attenuata solo dal cromatismo esacerbato del Trio che sem¬bra creare un momento di inquietudine nel cuore dello Scherzo. L'Andantino è in forma di canzone (A-B-A) e lo stesso tema ha fisio¬nomia liederistica; l'integrazione dialogica tra i due strumenti domina l'intera pagina con una scrittura a tratti densa, ma sempre rispettosa dell'impianto lirico. La Sonata si con¬clude con I'Allegro vivace, il più virtuosistico dei quattro tempi e anch'esso in forma sonata, dove il primo tema è strutturato sulla cellula ritmica dello Scherzo e ne conserva i tratti decisi secondo il ritmo di 3/4 - incon¬sueto per un finale schubertiano. Il secondo tema in mi maggiore - più conciliante e pacato - non attenua il procedere serrato dei due strumenti, dal quale forse deriva il titolo "Duo" imposto dall'editore viennese Diabelli allo scopo di evidenziare il procedere quasi paritario dei due strumenti.
L'abbozzo iniziale della prima Sonata per violino e pianoforte in fa minore Op. 80 risale al 1938, ma la composizione fu ripresa più volte e compiuta soltanto nel 1946. Come per l'adattamento per violino della Sonata per flauto (composta nel '43, trascritta nel '44), Prokofiev nel dare stesura definitiva al lavoro si servì dei consigli e dell'aiuto del grande violinista David Oistrach, che collaborò alla redazione della parte violinistica e contribuì al successo di entrambi i lavori con la sua impareggiabile arte interpretativa. E sotto l'aspetto tecnico-strumentale Prokofiev, valente pianista ed eccentrico virtuoso, non gli fu certo da meno. Quanto alla sostanza musicale della prima sonata, Prokofiev ha cercato qui di rendere il suo linguaggio melodioso e chiaro, sensibile ed eloquente, pur senza rinunciare a tenderlo con quegli slanci e quelle scabrosità melodiche e armoniche che sono tratti riconoscibili del suo stile. La ricerca della chiarezza, che a quanto pare animava allora le intenzioni del compositore, significava anzitutto riuscire a scrivere una musica chiara che fosse anche nuova e originale: ossia non necessariamente neoclassica. «Il desiderio di mettere ordine nello svolgimento della creazione senza tuttavia cadere in forzate inibizioni, in altri termini ridare attualità all'ideale classico senza irretirsi in scolasticismi o artificiosi ricalchi ma puntando al nuovo (una ‘nuova classicità’), si risolve in una lotta fra istinto e razionalità nella quale l'autocontrollo è in funzione della liberazione e viceversa» (Sergio Sablich).
Il Grand duo concertant sur la Romance de M. Lafont “Le Marin” (S 128) risale al 1830, quando Liszt era a Parigi ed è il frutto della collaborazione con Charles Philippe Lafont, il celebre violinista compositore che ai tempi faceva da alter ego a Paganini per celebrità. Il brano è in realtà composto da introduzione, tema (la romanza di Lafont, ai tempi celeberrima) e una serie di quattro variazioni concluse da un travolgente finale. La musica prodotta è ad altissima temperatura, con una folle corsa concertante violino - pianoforte che oltrepassa ogni plausibile immaginazione, allo scopo di stupire in un gioco infinito di meraviglie musicali. All’inizio (Lento assai – Animato quasi Allegro) ci troviamo immersi in una densa introduzione carica di suggestivi quesiti, tra recitativi del violino, appoggi del piano, palpitanti fremiti, improvvisi slanci. È un’ambientazione misteriosa, enigmatica che trova soluzione solo col profilarsi del tema di romanza. La prima variazione (Un poco più animato) si presenta baldanzosa e civettuola sul delicato canto gorgheggiante del violino e i rimbalzanti accordi del piano, mentre la seconda vede il violino esibirsi in aerei pizzicati sul piano che distende vaporosi drappeggi sonori a rendere fluida e scorrevole l’armonia. Poco dopo l’ambiente cambia ancora prodigiosamente. Nella Variazione III (Allegretto pastorale) assistiamo a una sognante versione del tema dal sapore un po’ chopiniano, anche se poco dopo trapassa in una versione mossa e brillantissima, sino a tecnicissimo- virtuosistica sulle fantasmagoriche fioriture e gli intrecci offerti dall’irresistibile duo piano e violino. La quarta variazione viene tradotta da Liszt in un agitato tema di tarantella, dove piano e violino si lanciano in una danza senza freni; infine l’epilogo (Animato marziale) che rappresenta la pirotecnica conclusione del profilo tematico soggetto a tale proteiforme serie di varianti.